Al cinema il dramma “teatrale” della Karenina
Dico subito che la trasposizione sul grande schermo di un romanzo come Anna Karenina non è facile e lo spettatore che ama Tolstoj e il suo capolavoro, entra in sala con molte aspettative.
I rischi erano tanti: il romanzo è lungo e vi si intrecciano, oltre alle due vicende principali: quella di Karenina e del bell’ufficiale Vronskij e quella di Levin e Kitty, tante altre microstorie che ne tessono magistralmente la trama storica e che proprio per questo assumono rilievo. Inoltre sottende l’intero romanzo un sottile fine didascalico-moraleggiante per cui nessuna felicità è possibile con l’infrangere delle regole che lo scrittore esprimerà, più esplicitamente, in lavori successivi come la Sonata a kreutzer in cui il marito, invece che separarsene, uccide la moglie per gelosia e poi ne racconta il dramma in treno ad uno sconosciuto.
Ma le aspettative pur essendo molte, guardando il bel film di Joe Wright, non solo non vengono deluse ma si trasformano in meravigliato stupore. Già dalle prime scene del film, infatti, si rimane affascinati dall’espediente narrativo di ambientare tutta la storia in un grande teatro, che è poi quello della vita, in cui ciò che accade, oltre ad essere visibile a tutti, è sottolineato da cambi di scena con quinte che si aprono e chiudono lasciando estasiato lo spettatore. Il dramma di Anna si consuma, dunque, sotto gli occhi del mondo aristocratico, in un teatro di quinte che si susseguono e di comparse che ogni tanto restano immobili per animarsi al passaggio dei due amanti che danno, appunto, vita alle scene e non tralasciando le microstorie di contorno che sono rese con pennellate incisive. La storia è nota: Anna, da virtuosa moglie di un algido ministro russo, durante il viaggio a Mosca per convincere il fratello a smettere di tradire la moglie e mettere pace in quella famiglia finisce col perdere la sua. Sul treno, infatti, incontra la contessa Vronskij che poi alla stazione le presenterà il figlio: il bell’ufficiale che le sarà fatale. A questa travolgente passione si contrappone l’amore maturo e tranquillo di Kitty e Levin ( l’alter ego dello stesso Tolstoj). Dapprima Kitty rifiuta Levin perché innamorata del conte Vronskij ma questi, durante il ballo in cui Kitty attende una sua offerta di matrimonio, si innamora perdutamente di Anna. Anche i colori degli abiti, in questa scena, sottolineano la vicenda: il bianco verginale di Kitty e il nero passionale di Anna. Col tempo Kitty capirà di avere sbagliato e riconsidera la possibilità di sposare Levin. Quindi da una parte, l’amore maturo e consapevole, dall’altra, la passione che travolge tutto. Anna perderà i propri figli, che rimarranno al marito, compresa la piccola che lei ha avuto da Vronskij e che lei, completamente assorbita dalle proprie vicende ed ormai esclusa da quella società di cui faceva parte, non riesce ad amare. Il finale tragico riprende, come nel romanzo, la scena iniziale: un treno, che stavolta ritorna, metterà fine, quasi in modo circolare, alla vicenda. Il regista, che comunque viene dal mondo del teatro, riesce magistralmente a trasporre il romanzo in un’opera d’arte originale fatta di scene magnifiche, meravigliosi costumi e straordinarie musiche (l’autore è Dario Marianelli, già premio oscar). Anche gli attori se la cavano bene. Qualche piccolo appunto per la protagonista, Keira Knightley, che, malgrado riesca tutto sommato ad impersonare il suo ruolo, appare spesso monoespressiva . Gli appassionati di Tolstoj, comunque, ringraziano.
Maria Luisa Florio da La Voce di Bagheria
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