Finalista cinquina Premio Strega - 4 luglio 2013
Era il tempo delle lettere. Planavano come stormi sopra le città di mattino presto. Le buste erano scrigni di parole. La vita la si raccontava sui fogli di carta perché era il 1926, lo è in queste pagine. Era l’unico modo per tenersi in contatto. E la carta era anche strumento potente per dire la rivoluzione contro il silenzio imposto dal fascismo. Tra Torino e Parigi si dipanano i percorsi di Moraldo, studente di filosofia con la passione per le caricature, figlio di un bottegaio di cui si vergogna anche se sa intimamente di non dovere, e di Piero (in lui si incarna Gobetti), dottore in legge che però ha voluto rischiare diventando fondatore di riviste ed editore. Un devoto alla tipografia per un ideale che contrasti la dittatura e che abbia come motore la volontà di giovani da supportare con fierezza e spirito combattivo. Il sogno gli costerà caro. Vedrà la prigione. Conoscerà l’esilio forzato, lontano dalla moglie e dal figlio appena nato. Incontrerà la morte per malattia, nel fiore degli anni. Sono giovani, loro due, tra i venti e i trenta. A mollo in un mondo pieno di contraddizioni. Moraldo insicuro e a tratti goffo, insoddisfatto, incapace di relazionarsi con il prossimo, specie con la sfera femminile (si innamora di una fotografa dall’animo libero, Carlotta, che poi fuggirà come refolo di vento nella capitale francese, chiedendo forse di essere rincorsa?), caparbio e tenace Piero su cui calza alla perfezione la citazione di Dylan Thomas ad inizio libro: I advance as for long as forever is. Che cosa lega i due? Un periodo storico. Non solo. Sono incatenati dal destino, figli di un tempo che non tornerà più. Un’aula universitaria è lo sfondo del loro primo incontro. Della fascinazione che Moraldo subisce per l’anticonformista Piero. Ma sono soprattutto figli delle idee che si augurano possano sopravvivergli, ignari di ciò che sarebbe accaduto dopo, ora. Questo è un romanzo dal sapore antico ma dal vigore deciso. Righe incentrate, romanticamente, sul senso dell’essere giovani e pronti al cambiamento a ritrarre una Torino e una Parigi lontane dal modello odierno che sempre tende al progresso senza però avere la carica giusta per cambiare il corso degli eventi. Questi due uomini, di grande sensibilità e acume nonostante le diversità caratteriali, vogliono amare, esprimersi. Cercano una strada da percorrere. Paolo Di Paolo ha solo trent’anni. E chi lo direbbe? Se nessuno conoscesse la sua nota biografica si potrebbe parlare di un uomo che ha vissuto quel tempo e ne narra i ricordi da vecchissimo. È questo che va elogiato. La capacità, naturalissima, di ricreare un periodo storico, un’atmosfera, come se lui fosse stato lì. E noi con lui. A dire di quello per cui si è faticato e lottato. A dire della nostra, dimenticata, storia italiana.
Carlotta Vissani - www.Bookdetector.com
Le opinioni dei lettori | |
L'opinione di popi77 | 25-06-2013 |
Ha buone chance di vincere il premio. Dopo un incontro a Roma su Tabucchi, con la presenza di Paolo Di Paolo, sono rimasto particolarmente stimolato dalla capacità espositiva e di sintesi, non lo conoscevo, ho acquistato i suoi libri, e il primo che ho letto:"MANDATEMI TANTA VITA" è uno dei più belli che ho letto nel panorama della narrativa italiana. Una scrittura stimolante, poetica, essenziale, un ritmo narrativo incalzante e profondo. | |