Le opinioni dei lettori | |
L'opinione di 62camillo | 08-03-2016 |
Un romanzo che è anche qualcosa di più Ho conosciuto i libri di Jonathan Coe per caso o, per essere sincero, per errore. Fu, infatti, solo grazie a non so quale maldestra combinazione di cifre di un ordine on line che un giorno arrivò al mio domicilio, “proprio per me in esclusiva” un pacco, all’interno del quale trovai, tra gli altri, anche “La banda dei brocchi”, versione italiana dell’inglese “The rotters’ club” del 2001.
Presto, non solo fui ben grato a quell’errore, ma divenni, lo confesso, un fan sfegatato dello scrittore di Birmingham e in tale veste ufficiale mi sono nel tempo attrezzato per leggere tutti, ma proprio tutti, i suoi libri pre e post 2001.
Tra quelli del periodo precedente - la prima edizione italiana è del ’95 – c’è “La famiglia Winshaw” pubblicato da Feltrinelli ed oggi giunto ad una più che ragguardevole ventiduesima edizione.
“La famiglia Winshaw” è sì la cronaca delle ben poco eroiche gesta dell’omonima famiglia, ma è anche molto di più.
Come in altre sue opere (di certo il già ricordato “La banda dei brocchi” ed il suo sequel “Circolo chiuso”) anche qui Coe ha, secondo me, il merito di tenere il lettore incollato al libro, invitandolo, con garbata determinazione, a scrutare difetti e debolezze dei personaggi ed a conoscere i tanti drammi che affliggono una società schiacciata da un potere detenuto da pochi e compressa da una politica che devasta vite umane e famiglie senza alcun preavviso (se state pensando al Thatcherismo avete indovinato).
Un susseguirsi di storie, dunque, ma anche improvvise rasoiate di humour che vi faranno sussultare – magistrale il dialogo tra Roddy e Pyles, il maggiordomo, dopo l’incidente occorso al padre sulla sedia a rotelle – ed una denuncia aperta delle tante iniquità sociali fanno, a mio parere, de “La famiglia Winshaw” uno di quei romanzi che va letto anche con il sospetto, perché no, che non sia soltanto un romanzo.
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