Il romanzo si apre su Pablo Neruda nel 1952 a Napoli quando lo sveglia un fastidioso bussare alla sua porta. Riceve la comunicazione di essere indesiderato, verrà accompagnato da due agenti a Roma per essere instradato in Svizzera. Sul treno si trova seduto – e non per caso – a fianco del senatore comunista Massimo Caprara che, nella stazione della capitale, intima agli ufficiali di polizia di lasciarlo in libertà. Se questo non bastasse, una grande folla minacciosa si è radunata a sostegno del poeta. In mezzo a quella folla una donna, Matilde Urrutia, osserva e attende che libero sia anche il suo amore per Pablo. Dopo il clamore del mondo che lo celebra e vuole che viva la sua voce, la scena si sposta a Capri nella villa di Edwin Cerio, dove i due amanti danno profondità e splendore al loro amore. Vent’anni dopo, a Isla Negra, in Cile, altri militari arrivano a bussare alla sua porta e a intimare a Neruda malato e a Matilde di non lasciare l’abitazione. Il domicilio è coatto solo per poco perché, venti giorni dopo il golpe di Pinochet, Neruda si spegne in una clinica, forse avvelenato da un agente della Cia. Due stagioni della vita di Pablo Neruda: la stagione dell’amore, delle speranze, di un mondo che si trasforma e la stagione del buio, della violenza, della morte. Due stagioni raccontate in prima persona dalla voce del poeta e dalla voce di Matilde, due segmenti di esistenza che raccontano l’amore, ma anche l’amore per la vita, la grandezza dello stare al mondo, l’incanto, anche civile, della parola e il suo smorire dentro i destini che la vogliono ottusa o distorta. Ruggero Cappuccio si insinua nella fisicità dei suoi personaggi per rovesciarne come un guanto la grazia, e traendosene fuori solo per contemplarne dall’alto la loro esemplarità e fissarne la memoria.
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